PIER JACOPO MARTELLO –
IL PROEMIO
Dopo il IV Sermone, ecco il proemio introduttivo all'opera:
“Sermoni della poetica”
Proemio: è un testo di critica, in cui Martello esordisce affermando che le satire, i sermoni e le epistole di Orazio (onorato e ingenuo – da indigeno – poeta) sono dilettevoli. Orazio dà insegnamento e diletto, proprio in coerenza con l’arte canonica che prevedeva di delectare, docere, movere. Nei suoi versi dà spirito alle verità dei sentimenti, e si insinua nell’animo dei suoi lettori. Propone una naturalezza della dismissione, contro gli eccessi barocchi, penetra nell’anima in un ossimoro di artificiosa naturalezza: è sia trascurato che prosaico, contro l’alta retorica, insegna ed è dimesso nei toni provocando una “felicità di cammino”. Martello sceglie quindi la satira, non come imitazione pedissequa ma come intenzione. L’arte imitativa si rimette al giudizio del pubblico (topos della captatio benevolentiae) e il candido stile oraziano è il prescelto. Si rivolge agli argomenti poetici e vuole correggere gli intelletti che fanno poesia, sottolineando che la poesia stessa non è un’arte necessaria e che i veri poeti sono pochi. Tanti invece sono i versificatori, e Martello decide proprio in virtù di questa situazione l’insegnamento (da non poeta) di ciò che ha imparato. Successivamente si sottrae dalle forzature aristoteliche, affermando che Aristotele dà regole proprio nel momento in cui il classicismo le cerca e il suo parere diviene modello con regole e leggi. Contro questa forzatura dei cinquecentisti Martello si scaglia, combattendo l’aristotelismo umanistico (una scuola padovana che ha portato il filosofo greco in Italia con la sapienza dei dotti bizantini). Viene condannata la politica maligna di usare termini astrusi per i precetti, l’abitudine di non parlare con ingenua candidezza per farsi capire. C’è quindi una tirata alla poesia e alla norma eccessive, in un abbaglio della fantasia senza appagare gli intelletti. L’aneddoto del bravo moderno che scopre Cartesio tirare le occulte funi della macchina alata che si solleva è metafora dell’oscurità di Aristotele e della sua poetica, eccessiva nelle norme. I modelli che usa Martello sono la Lettera a’ Pisoni di Orazio, la poetica di Boileau (1674) e il patrimonio greco-latino (dalla parte degli antichi). L’intento è rispondere al bisogno degli italiani di spiegazione dell’arte poetica, e in tal senso Martello funge da mediatore respingendo l’autoritarismo aristotelico e dando delle indicazioni su come fare poesia – senza norme precise – e ricordando in cosa consiste la poesia nella sua natura essenziale e nelle sue funzioni. Se qualcuno obiettasse che da non poeta non dovrebbe scrivere in versi, Martello risponderebbe che lo fa per carità e per insegnamento, non di certo per gloria. Funzione è quella di ‘agevolare i leggitori’ all’apprendimento.
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