Thomas Hobbes: "L'assurdità è tutta dell'uomo"

Se fosse sospinto dal proprio istinto, ogni uomo compierebbe gesti folli. E’ la ragione che razionalizzando le nostre azioni e le nostre affermazioni ci consente di giungere ad un certo grado di libertà. Quest’ultima consiste proprio, come dirà anche Baruch Spinoza più tardi, nella consapevolezza di ciò che si fa e nella capacità di limitarsi da sé. Ma che cosa sarebbe il mondo se non ci fosse la società a monitorare i nostri comportamenti e l’uomo non stabilisse dei patti per la comunità? Risposta: sarebbe “bellum omnium contra omnes” con l’uomo lupo all’uomo (Homo homini lupus). La follia umana, la lotta, l’istinto e la ferocità vengono annientate dalla ragione, che porta alla creazione di un patto sociale determinante condizioni etiche in linea di massima accettabili da tutti gli individui della società.
Per arrivare a questa teoria il filosofo inglese si basa su due postulati di grandissima attualità: la Cupiditas Naturalis e la Ratio Naturalis. Il primo indica la propensione spontanea a volere tutto per sé. Anche se Hobbes non contempla le idee innate, questo status mentale è presente sin dalla nascita. Basta pensare ad un bambino che diventa possessivo con i suoi giocattoli e non lo fa di certo per una questione di economia o per un desiderio sfrenato di accumulare beni materiali. E’ semplicemente la necessità di avere punti di riferimento. La Ratio Naturalis è invece la tendenza a sfuggire la morte. E l’uomo fa i conti con questo enigma da sempre, quanto è vero che ognuno di noi prima o poi si pone la domanda “esistenziale”. Allontanarsi dal capolinea è possibile ma difficile in uno stato selvaggio dove nessuno si regola e dove lotte di ogni sorta possono portare alla guerra e all’uccisione dei membri della comunità. Quindi come conseguenza ovvia a questi due postulati Hobbes giunge al “Diritto Naturale” che poi farà spazio al raggiungimento dello stato civile. Lo stato perfetto ( e non utopistico) è quello in cui si rispettano le leggi, viene mantenuta la pace, viene lasciata libertà alle decisioni interiori e soggettive dell’uomo. Alla base di tutto ciò c’è il materialismo etico: per un filosofo razionalista e prettamente matematizzato non si può evitare l’analisi delle fondamenta di un patto sociale che vale soltanto se parte da ogni singolo individuo. Il problema umano è proprio nel conciliare etica e morale: non esiste un sommo bene e quindi l’oggettivo dipende dal soggettivo, ma così non risulta più oggettivo per definizione. L’unica certezza sta nella voglia di allontanare il dolore e avvicinare il piacere e chi lo provoca. L’uomo prima di agire compie una deliberazione (in cui si pone domande e smonta i dubbi sulle conseguenze che quell’azione può portare) e poi passa all’azione stessa, che può essere lontana dalla volontà e più o meno coerente con la deliberazione. Fare un programma è un conto, andare a svolgerlo è un altro e la deliberazione può diventare linea guida da seguire da vicino o da lontano. E’ sempre la situazione ed i brividi che essa comporta a vincere. La soggettività però viene condizionata anche dall’esterno: come dice Hobbes, “ senza spada i patti naturali non sono che parole”: uno stato forte e deciso spinge l’uomo a riflettere da solo e a prendere autonomamente decisioni giuste per la collettività. E se succede qualcosa che non va, apparentemente inspiegabile, è semplicemente perché “il privilegio dell’assurdità non è concesso a nessuna creatura tranne che all’uomo”. 

Rocco Della Corte

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