Artemide, Apollo, Poseidone


APOLLO
Dio della luce, della musica e della profezia. Fu protettore della medicina e padre di Asclepio. Il mito lo colloca per importanza subito dopo Zeus, a fianco della gemella Artemide. Figlio di Zeus e Latona che, per sfuggire alla vendetta di Era, a lungo errò, senza trovar rifugio presso alcuno. Soltanto uno scoglio che galleggiava nel mare, le permise di trovare riposo, in prossimità del parto: questi si fissò al fondo degli abissi con delle colonne, dando origine all'isola di Delo. Ebbe un lungo travaglio assistita dalla dea Iride, al termine del quale vennero alla luce i due gemelli. Furono entrambi armati di arco e frecce, con cui uccidevano senza dare sofferenza. Apollo fu simbolo dell'autocontrollo, della conoscenza di sé e della misura, tanto che nel suo tempio di Delfi appariva la celebre epigrafe: “Conosci te stesso”. A questo titolo era il dio dell'espiazione e della purificazione; anche dopo aver dato in dono al figlio Asclepio l'arte della guarigione, rimase in possesso delle sue proprietà mediche. Il dio profeta viene spesso rappresentato con la lira in compagnia delle Muse e fu anche identificato con Elio. Di straordinaria bellezza, ebbe Delfi come centro del suo culto, dove sorgeva anche il suo famoso oracolo, che fu fondato in questo preciso punto in seguito all'uccisione del serpente Pitone, figlio di Gea. Presso questa località si svolgevano ogni quattro anni, i giochi Pitici, in suo onore. Fu venerato dai Romani come protettore della salute cui furono anche dedicati i giochi detti Ludi Apollinares. Tuttavia non fu sempre di natura benevola uccidendo i figli di Niobe, i Greci durante il conflitto di Troia.

ARTEMIDE
Figlia di Zeus e Latona, sorella di Apollo, il cui nome è di probabile provenienza asiatica. L'immagine classica l'identifica come personificazione della natura. Nel pensiero antico la Natura era un'entità misteriosa tanto benevola quanto demoniaca e Artemide ne rappresentava la parte lucente e vibrante. La sua figura presenta numerose somiglianze con Apollo, la cui purezza e distanza sono la conseguenza di un virile atto di razionalità. Artemide invece deve la sua distanza all'idealizzazione della propria femminilità, per cui la si crede vergine eterna. Celebre l'inno omerico in cui viene così descritta: “Artemide pure, la rumorosa dea dal fuso d'oro mai cedette all'amore di Afrodite, dal dolce sorriso”. A riprova della sua integrità morale, vi è il famoso episodio in cui fece sbranare dai suoi cani Atteone, colpevole di averla spiata nuda. Fu patrona della castità e le furono consacrati l'arco e le frecce; si aggirava per le foreste in compagnia delle fedeli Ninfe con le quali soleva danzare sui prati in fiore. Proteggeva e cacciava gli animali, mostrando proprio come la Natura i due volti di amore e crudeltà. Uccideva senza procurare sofferenza come il gemello, e amava le sue accompagnatrici come sorelle; se però una di loro commetteva l'errore di farsi prendere dall'amore, veniva prontamente scacciata. Procurava la sofferenza delle doglie, ma assisteva le donne nel parto, consigliandole poi nell'educazione dei figli. Era anche considerata una dea lunare, e nel mondo romano fu assimilata a Diana che, al posto di Selene, era l'amante di Endimione.
POSEIDONE
Nato dall'unione di Crono e Rea, fratello di Zeus e Ade, fu designato signore del mare in seguito allo spodestamento paterno. Nell'iconografia mitologica è rappresentato alla guida di un cocchio marino, mentre impugna il suo leggendario tridente. Si credeva abitasse in un palazzo negli abissi marini e si diceva avesse un carattere assai instabile, talora benevolo, talora burrascoso, rendendolo così la personificazione degli eventi marini; difatti si credeva che i maremoti fossero originati dallo sbattere del suo tridente. Avendo poi cospirato con Era e Apollo, contro Zeus, fu cacciato in esilio a Troia, al servizio di Laomedonte. Qui edificò, con l'aiuto di Eaco e Apollo, le mura che cingevano la città. Alla fine della sua fatica non ottenne però il compenso dovuto e quindi il re incorse nelle ire del dio. Poseidone fece scaturire dalle acque un mostruoso drago per farne divorare la figlia Esione, ma ancora una volta, l'impavido Eracle, accorse in aiuto di costei, sterminando l'orribile creatura; la rabbia del dio tuttavia non si placò e continuò a perseguitare i Troiani anche durante il famoso conflitto. Il sovrano marino si invaghì di Anfitrite, ma questa spaventata fuggì. Un delfino partì alla sua ricerca e una volta rintracciata la giovane, riuscì a convincerla a sposare il burrascoso dio; Anfitrite si rivelò una sposa molto gelosa, al punto di trasformare Scilla in un mostro dai dodici piedi e dalle sei bocche che divoravano ogni marinaio che passasse lo stretto di Messina. Nella gara con Atena per la signoria sull'Attica e il ruolo di protettore di Atene, Poseidone dovette darsi per vinto e, in questa occasione, fece dono all'umanità del cavallo, mentre la sua contendente regalò l'ulivo. Poisedone poteva inoltre mutare d'aspetto a suo piacimento, sempre a simbolo dell'incostanza del mare. Fu anche venerato dai Romani che lo identificarono con Nettuno.

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